Titolo: Resurrezione di Lazzaro | |
Anno: 1645 – 1650 | |
Tecnica: Olio su tela | |
Dimensioni: 229×229 | |
Città: Genova | |
Collocazione: Musei di Strada Nuova – Palazzo Rosso |
Il dipinto, dapprima ritenuto un’opera giovanile di Mattia Preti, è databile intorno alla fine degli anni quaranta (Marini 1989; Spike 1999), verosimilmente in un tempo di poco precedente all’esecuzione di Clorinda fa graziare Olindo e Sofronia dal rogo anch’esso a Palazzo Rosso a Genova ed entrambi commissionati al pittore dal cardinale marchigiano Giovanni Battista Pallotta. Infatti, il primo documento ad oggi noto nel quale la Resurrezione di Lazzaro risulta annotata, è l’inventario post mortem del cardinale Pallotta, in cui si legge che, nel suo palazzo romano, nella «terza anticamera detta della Madonna» si trovano: «un quadro grande che copre una facciata di detta stanza mano dritta nell’intrare rapresentante Flagellum de funicolis con tredici figure con cornice color di noce intagliata e dorata. Un altro di rempetto al sudetto in tela simile rapresentante la Resurrettione di Lazzaro con dodici figure e cornice simile» (cfr. Aurigemma 1999, pp. 122-125; D’Amico 2009, p. 195). È evidente che il quadro, oggi a Genova, in casa Pallotta era en pendant con il Cristo scaccia i mercanti dal Tempio di Guercino anch’esso custodito a Palazzo Rosso.
Alla morte del Pallotta la quadreria viene ereditata dalla nipote che aveva sposato il conte bolognese Gio. Gaspare Grassi, il quale, per saldare i molti debiti contratti in vita dallo zio cardinale, vende, probabilmente in diversi blocchi, i quadri in tempi non precisati. […]
L’opera, di cui sono noti una serie di disegni (Gabrielli, in Roma 1998) e, che fra l’altro, è stata attribuita, a partire dalla metà del Settecento, a Caravaggio (Boccardo, in Caldarola 2009), presenta un impianto scenico narrativo e teatrale. È evidente, infatti, la gestualità e l’espressività degli astanti; le donne, a sinistra, si coprono la bocca e il naso per non sentire il fetore che emana il corpo di Lazzaro che, stando all’episodio biblico citato da Giovanni (11,1-44), è stato riportato in vita da Gesù che gli comanda: «Lazzaro, vieni fuori». Così, mentre l’anziano signore col turbante, insieme al fanciullo di colore, dietro al Cristo in piedi, si fa spazio per curiosare, i due uomini, dalla parte opposta, commentano l’episodio. Mattia Preti
dipinge l’attimo in cui Gesù chiede di sciogliere a Lazzaro, appena risorto e sorretto da alcuni uomini, le bende, con le quali era stato sepolto per tre giorni.
Alla morte del Pallotta la quadreria viene ereditata dalla nipote che aveva sposato il conte bolognese Gio. Gaspare Grassi, il quale, per saldare i molti debiti contratti in vita dallo zio cardinale, vende, probabilmente in diversi blocchi, i quadri in tempi non precisati. […]
L’opera, di cui sono noti una serie di disegni (Gabrielli, in Roma 1998) e, che fra l’altro, è stata attribuita, a partire dalla metà del Settecento, a Caravaggio (Boccardo, in Caldarola 2009), presenta un impianto scenico narrativo e teatrale. È evidente, infatti, la gestualità e l’espressività degli astanti; le donne, a sinistra, si coprono la bocca e il naso per non sentire il fetore che emana il corpo di Lazzaro che, stando all’episodio biblico citato da Giovanni (11,1-44), è stato riportato in vita da Gesù che gli comanda: «Lazzaro, vieni fuori». Così, mentre l’anziano signore col turbante, insieme al fanciullo di colore, dietro al Cristo in piedi, si fa spazio per curiosare, i due uomini, dalla parte opposta, commentano l’episodio. Mattia Preti
dipinge l’attimo in cui Gesù chiede di sciogliere a Lazzaro, appena risorto e sorretto da alcuni uomini, le bende, con le quali era stato sepolto per tre giorni.
A. D’A. – Vittorio Sgarbi – Mattia Preti – Rubbettino, Soveria Mannelli (CS), 2013